USA – tensioni interne. Cosa sta succedendo?

Relatori: James Hansen

Il RC Milano Castello ha raccolto piacevolmente l’invito del RC Milano Madonnina e la dimostrazione è data dal fatto che su 33 partecipanti 21 erano del nostro Club.
 
Sicuramente vi è il piacere di ritrovarci ma anche l’interesse della serata ha fatto la sua parte, specie all’indomani della vittoria di Biden e alla vigilia del governo Draghi: avvenimenti che sono legati da un filo nemmeno troppo sottile, come vedremo.
 
James Hansen, affabulatore più che conferenziere, esordisce con un accento che a noi del Castello è piuttosto noto, anche se per simpatia, affetto e pragmatismo non può competere con il nostro Craig.
 
James ha sicuramente le “carte in regola”, ad ogni modo, raccontandoci con semplicità di aver raggiunto l’Italia nel Servizio diplomatico americano a soli 25 anni di età; e poi rimasto nel Paese come corrispondente del ‘Daily Telegraph’ inglese e dell’International Herald Tribune’; e – ancora - diventato portavoce prima di Carlo De Benedetti e poi di Silvio Berlusconi, a seguito della nota divisione del gruppo Mondadori.
 
Più di recente è stato capoufficio stampa di Telecom Italia. Già direttore della rivista di geopolitica ‘East’, è consulente di primari gruppi italiani per le relazioni internazionali, ed intrattiene un blog informativo su Start Magazine (startmag.it), che ci invita simpaticamente a visitare (“è gratis”).
 
Ammette di non aver fatto molto per perdere l’accento americano (come tutti gli americani…) ma definendosi un americano degli anni ’70 definisce con sincerità l’epoca in cui si formarono i suoi punti di vista.
 
Non si può fare a meno di parlare di Trump, dato l’argomento della serata, quindi ci ricorda che nella sua prima tornata elettorale, contro Hillary Clinton, non gli riuscì di fare il tifo per la seconda, perché rivaleggiava con Donald quanto ad antipatia: il suo sogno sarebbe stato quello di vederli perdere tutti e due, ma il sistema elettorale … non lo consentì. In quell’occasione si incuriosì constatando l’atteggiamento dei “liberal”, che disprezzavano il popolino per aver votato nel modo “sbagliato”, e cercavano in tutti i modi di “educarlo” attraverso i media.
Alla seconda tornata, contro Biden, ha votato per quest’ultimo, pur senza entusiasmo, perché un Presidente deve saper trovare un modo per andare d’accordo con collaboratori ed avversari, ed in questo Donald si era dimostrato “unfit”. Tuttavia, ammette che in nessun altro caso si era assistito ad una campagna mediatica talmente massiccia contro un Presidente degli USA, nemmeno ai tempi del Watergate; in particolare l’accusa di intelligenza col nemico (Russia) è non solo senza prove, ma addirittura grottesca.
 
In effetti Donald si è sempre espresso come se parlasse al Bar Sport, in questo similmente a Berlusconi, che giustificava le proprie intemperanze verbali con l’aver adoperato un linguaggio casalingo. Con la differenza che Berlusconi era molto simpatico mentre Trump è tutto il contrario.
Per quanto riguarda Biden, James ricorda che, residente a lungo a Washington in quanto figlio di lobbysti (professione rispettabile, negli Usa, più di quanto non sia in Italia), aveva già sentito affermare che Biden era la persona più gentile e carina del mondo, ma che se fosse stato soltanto un pochino meno intelligente, lo si sarebbe dovuto annaffiare di frequente, come i vegetali.
Non è quindi un genio, ma è sicuramente una persona perbene.
 
James apre quindi alle domande, che sono state molte, e competenti.
 
Esordisce Pierpaolo Montinaro, Presidente del Club ospite Milano Madonnina, chiedendo cosa pensi James delle accuse di brogli sollevate da Trump; e James lealmente ammette che il sistema di votazione negli USA non è a prova di brogli; però su 330 milioni di abitanti eventuali brogli sul voto postale non possono riguardare numeri rilevanti al punto da spostare il risultato (in Italia noi avvocati la chiameremmo “prova di resistenza”) e Trump non ha saputo produrre prove dei supposti brogli.
 
Ciò detto, il sistema elettorale USA ha tuttavia diversi “buchi”, poiché – e non tutti lo sanno – ci sono in realtà 51 sistemi elettorali, uno per ciascuno degli Stati dell’Unione, con sensibili differenze in termini di identificazione dell’elettore e sistemi di trasmissione del voto. D’altronde, un ipotetico sistema centralizzato sarebbe ancora più esposto ad alterazioni: minori gestori, minore controllo, maggior possibilità di infiltrazione.
 
Il Presidente del RC Milano Madonnina introduce poi la domanda di suo Socio Leone Talia, che si dichiara appassionato lettore delle note di politica internazionale di James e nota parecchia analogia nei comportamenti dei mass-media contro Trump e contro Berlusconi, unilaterali e poco credibili, indipendentemente dai pregi o difetti dei due personaggi. Anche James condivide questa analisi, ma ritiene di dover associare alla schiera degli odiatori non solo la stampa di sinistra, ma anche quella di destra e persino la speaker della Camera Nancy Pelosi.  È un vizio dei mass-media odierni, quello di esagerare le notizie e gli schieramenti ideologici, fino a rappresentare questi ultimi come fanatici, al punto di non riconoscere dignità all’avversario politico. Dalla rappresentazione alla realtà il passo è breve, come insegnava McLuhan («Una volta che abbiamo consegnato i nostri sensi e i nostri sistemi nervosi alle manipolazioni di coloro che cercano di trarre profitti prendendo in affitto i nostri occhi, le orecchie e i nervi, in realtà non abbiamo più diritti. Cedere occhi, orecchie e nervi a interessi commerciali è come consegnare il linguaggio comune a un'azienda privata o dare in monopolio a una società l'atmosfera terrestre» Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, N.d.R.). Persino il New York Times sospese le regole della corretta comunicazione in nome dell’emergenza della democrazia che Trump avrebbe rappresentato. L’abbrutimento della politica è purtroppo bilaterale e la stampa “barò” ampiamente su Trump in nome di una presunta superiorità dell’opposta parte politica.
 
James ritiene infatti che Trump fu votato come forma di protesta estrema, così come fu votata, in Italia, Ilona Staller.
 
Del resto, il Partito democratico americano (come il PD in Italia) non è più il partito dei lavoratori, ed anche il partito repubblicano ha subìto estreme trasformazioni: non fa meraviglia, quindi, che i lavoratori più poveri abbiano votato per un esponente della destra.
 
Non poteva mancare la domanda del “nostro” americano, Craig Sause, che muove dall’osservazione che i repubblicani hanno subìto una trasformazione ben più radicale dei democratici e intravvede una possibilità di scissione del partito repubblicano, chiedendo quindi conferma a James di questo suo punto di vista.
I repubblicani, secondo James, si sono cacciati nei guai con l’opposizione ad Obama per le sue diversità, razziali (presunte), di stile e di politica; e questo metodo ha avuto successo, al punto di contribuire all’elezione di un Trump. Questo tipo di opposizione ha però un po' imprigionato i repubblicani, ed infatti James non crede che possa avere un grande futuro.
 
Massimo Borioli chiede come si atteggerà la politica americana nei confronti dell’Europa con la presidenza Biden, e se J.F. Kennedy fosse segregazionista. James inverte le risposte rispetto alle domande, precisando che non Kennedy, bensì suo padre, fosse un convinto segregazionista. Questo perché egli apparteneva ideologicamente a quel Sud già secessionista e schiavista, dove il voto si orientava a seconda di come avessero votato i propri genitori. I due partiti americani non hanno poi una struttura territoriale permanente, ma vengono rivitalizzati in occasione della campagna presidenziale, cosicché non è difficile imbattersi in democratici più di destra dei repubblicani, come anche repubblicani più a sinistra di certi democratici; dipende appunto da come votavano i genitori.  Kennedy era un convinto antisegregazionista, il che ha contribuito alla sua tragica fine; comunque, la sua elezione fu una delle più discusse per presunti brogli, incappò in diversi incidenti come la Baia dei Porci, l’inizio della guerra del Vietnam, e fu beatificato in sostanza solo dopo la sua morte violenta.
 
È poi stato il mio turno, per la domanda provocatoria: questo Trump di pessimo gusto nel vestire, nel pettinarsi, irascibile con i collaboratori, sbaglio od è stato l’unico Presidente USA, da Truman ad Obama, a non aver iniziato o continuato una guerra? James ha confermato questa indiscutibile circostanza, e soprattutto come i democratici abbiano stranamente assunto, nel tempo, posizioni interventiste, mentre Trump si è limitato all’aggressività verbale, non senza segnare un grosso progresso nelle relazioni con la Corea del Nord.
 
Luigi Capone ha poi ricordato la sua permanenza negli USA, prima nel Texas poi in Tennessee, con un intermezzo in Gran Bretagna, per poi chiedere come sia possibile che paesi così aperti agli scambi professionali e culturali stiano regredendo, si direbbe all’unisono, precipitando negli stessi problemi della vecchia Europa. James condivide, e constata che siamo di fronte ad un arretramento globale, almeno dalla crisi finanziaria del 2008. Siamo divisi in fazioni, fra buoni e cattivi; i primi riservano democrazia e diritti a sé stessi e li negano agli avversari. E questo avviene in USA, Inghilterra, Francia Germania, dappertutto. Il rispetto reciproco dell’epoca DC e PCI è finito e difficilmente riproducibile, dato che nessun partito ha poi il controllo effettivo del territorio e dei propri iscritti.
 
Anche in Italia l’avvento di Mario Draghi viene letto da James come una crisi della democrazia, perché egli non è stato eletto dal popolo e se ignorano le posizioni politiche. Funzionerà? Già con Mario Monti non fu un successo.
 
Luca Faotto si domanda, e domanda, come si è potuti passare da Obama a Trump, e poi, al contrario, da Trump a Biden, se non in base alla politica del “meno peggio”, come sta avvenendo da tempo in Italia. James parte dall’esempio di Reagan, contestato dai democratici eppure estremamente popolare, come di Obama, per affermare che stiamo vivendo un ciclo naturale della vita: ci siamo arricchiti ed abbiamo trasmesso ai figli l’idea che avrebbero potuto avere tutto ciò che volevano, e poi ciò non si è verificato. 
 
È stato il turno del nostro Presidente Marco Loro, che ha sottolineato l’aspetto dell’eccesso di informazione come causa del problema: si è passati dalle 30.000 battute di un pezzo giornalistico su carta alle 4.000/7.000 di una pagina web, e questo è un segno tanto di aumento della quantità dell’informazione, quanto della perdita della capacità di approfondire. James condivide l’idea che internet abbia facilitato il crollo dell’autorità degli esperti (vedi no-vax), al punto di diffidare dei pareri degli esperti perché sospetti di “intelligenza col nemico”. La crisi delle autorità è generale… ma forse, dice James, quando dico queste cose è segno … che sto diventando vecchio.
 
Guido Motti nota che il margine di voti fra Biden e Trump era talmente sottile da rendere problematica la vittoria del primo; e chiede a James come valuta il fatto che Trump abbia impedito a Huawei l’installazione del 5G sul territorio americano (ed anche europeo, grazie alla supremazia tecnologica USA). James sfugge alla domanda dichiarandosi incompetente in materia di reti informatiche, ma coglie l’osservazione di Guido sul sistema elettorale, definendo quello proporzionale come sistema per “dare spazio ai vinti”, cosa essenziale alla democrazia.
 
Adriano Anderloni chiede che significato abbia l’impeachment contro un ex presidente; James sottolinea che l’impeachment comporta il divieto di occupare posti analoghi; ma considera un errore politico questa iniziativa, proprio perché egli ha avuto comunque un gran numero di voti, addirittura superiore alla precedente elezione avverso Hillary Clinton (ma il senso della domanda di Adriano era forse diverso: è proponibile giuridicamente l’impeachment dopo che non sei più presidente?).
 
E qui intervenne Craig, contestando tanto James che Guido, ed affermando che la differenza fra i due candidati fu di 7 milioni di voti, non pochi.
 
Qui si è aperta una discussione sul numero dei voti e la sua rilevanza, che è proseguita fra Craig e Guido anche sulla chat di Club, a riprova dell’interesse della serata.
 
Luigi Capone ha poi riconosciuto a Trump il merito di aver sollevato il problema Cina, figlio dei comportamenti improvvidi della società occidentali e del WTO, oltreché della sua concorrenzialità fondata sul dumping economico, umano e tecnologico. Trump ha dimostrato di avere idee chiare su questa nuova guerra fredda, a differenza dell’Europa. Ed è un gioco a somma zero abolire con pochi ed immediati ordini esecutivi indiscriminatamente tutto ciò che aveva fatto il predecessore.
 
James attribuisce l’apertura alla Cina ad un tipico errore delle mentalità americana, che riteneva “se ti arricchisci diventi democratico”. Ma la contrapposizione di Trump non servirà a colmare il gap che abbiamo provocato. 
 
James conclude ricordando che l’Unione Europea è dovuta anche all’America, che volle in questo modo evitare una terza guerra mondiale.
 
Serata di grande interesse, che sarebbe stato bello poter allargare proporzionalmente alla vastità degli argomenti trattati. Un saluto di Marco Loro a Monsignor Longhi ha concluso il collegamento.
Posso umilmente suggerire agli amici, per approfondire la conoscenza dell’elettorato conservatore americano, il libro di Sarah Smarsh “Al cuore della povertà nel Paese più ricco del mondo” (Black Coffee, in uscita), quello di Elizabeth Catte, “Quello che non capisci dell’Appalachia”, ed infine di Dale Maharidge, “Fregati alla nascita”.
 
Grande America, grandi problemi.
 
Massimo Burghignoli