FRANCO PAGETTI
Come è possibile descrivere delle immagini che ti catturano per la loro forza, per l’emozione che ti trasmettono o solamente per la loro bellezza?
È stata una serata molto interessante e coinvolgente sia per le immagini che per il racconto di un serio professionista che saputo raccontare situazioni difficili, spesso molto pericolose, con un rigore morale e con una visione lucida di quello che voleva trasmettere.
Inizia da giovane nel campo della fotografia di moda, sicuramente molto accattivante, sicuramente molto tecnica ma priva di pathos anche se questo pathos riesce a ricrearlo nuovamente per Dolce & Gabbana per la campagna pubblicitaria del 2016/17.
L’occasione nasce con l’incontro di testate giornalistiche americane, leggasi Time, che lasciano maggiore libertà nella propria espressività ed ovviamente hanno budget di spesa nettamente superiori a qualunque altra testata europea.
E poi poter operare a fianco dell’esercito americano permetteva di raggiungere teatri di guerra assolutamente impensabili.
La considerazione immediata è come le guerre di fatto siano cambiate. Non esistono più i campi dove gli scontri sono tra eserciti riconoscibili per uniforme e vessilli.
In Afghanistan, in Siria, in Iraq i nemici sono dovunque, nascosti tra la popolazione, senza segni distintivi ed ogni luogo è teatro di guerriglia e di azioni terroristiche.
In questo clima di tensione e di pericolo Franco ha ritratto azioni, volti, paesaggi, situazioni lasciando allo spettatore l’emozione di capire ed immaginare.
Ma la verità non è mai univoca, con la sua naturale franchezza da milanese tutto di un pezzo ha saputo conquistare anche la fiducia di chi stava dall’altra parte e permettendogli di ritrarre scene di quotidianità e ritratti davvero toccanti.
Una nota tecnica, Franco predilige l’uso di ottiche di ampia angolazione (35-50 mm.) non certo teleobbiettivi, e questo lo obbliga ad essere vicino al proprio soggetto, legare con lui, sentire le sue emozioni.
 
Donne che piangono i propri uomini caduti in battaglia, uomini che si preparano al proprio sacrificio portando bombe sul proprio corpo. 
Una forte etica professionale non deve mai abbandonare il lavoro di un reporter di guerra, rispettare le persone che vengono ritratte, riportare la verità, la correttezza nelle didascalie, evitare di dare giudizi, non parteggiare.
Può sembrare cinico ma questo approccio riesce a riportare immagini ed eventi nella loro essenza; a noi, al lettore, al pubblico trarre le proprie conclusioni.
Il racconto prosegue asciutto e conciso, ricordi si alternano ad eventi, ad aneddoti, a ricordi, mai giudizi se non per qualche giornalista cialtrone che faceva l’inviato di guerra chiuso e protetto in una stanza di albergo.
Soldati americani calati in una realtà a loro totalmente estranea ma capaci di muoversi con totale professionalità anche a costo della propria incolumità per proteggere il “civile” che con loro condivide i medesimi rischi.
Immagini di paesi e paesaggi di sublime bellezza e di drammatica povertà ed arretratezza.
Città martoriate e sventrate da anni di guerra come le immagini di Aleppo in Siria nel 2012 dove grandi teli celano strade ed edifici. Effetti strani che danno alla città un senso di lutto e di tentativo di decoro di fronte alla distruzione. Ma questi teli, questi tendaggi permettono di attraversare i quartieri senza il rischio di finire sotto il tiro di cecchini.
Ed allora ecco un esempio significativo di cosa vuol dire saper ritrarre qualsivoglia soggetto, persona o cosa quando dietro alla macchina fotografica non solo c’è etica ma sensibilità, intelligenza ed arte.
E tutto questo ce lo ha raccontato Franco Pagetti con la sua naturale semplicità e ruvidità.
Grazie a tutti gli amici che hanno voluto condividere con me questa bella serata.