MUSICA CONTEMPORANEA
Da Blues a Rock
Relatori: Luca Faotto
Il tema della serata – “Dal Blues al Rock” - invita al relax e ci lascia dimenticare almeno per qualche ora le nostre preoccupazioni e il clima che si respira nel nostro paese e nel mondo intero. Mentre i soci alla spicciolata accedono su zoom, Luca – relatore e Presidente facenti funzioni - ci intrattiene sul concetto di “latenza”, cioè quell’intervallo di tempo che impedisce ai musicisti di suonare insieme a distanza.  Guido non si tira mai indietro e anticipa in qualche modo la presentazione comparendo sullo schermo armato di mestolo di legno e di bongo. Insomma, l’ambiente è festoso e dopo le ormai rituali prove di smile e il saluto alle bandiere, iniziamo il nostro viaggio dal “Blues al Rock”.
 
Pensavo, come altri, si trattasse “solo” di una serata sulla musica, ma al termine mi sono dovuto ricredere.
 
Partendo comunque dalla musica, il Blues trae le sue origini tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX secolo dai canti delle comunità di schiavi afroamericani che nel corso del Seicento e Settecento i proprietari terrieri di origine europea trasferirono forzatamente dall’Africa nell’ordine delle centinaia di migliaia. La popolazione africana, povera, sfruttata e priva di diritti, trovò nella musica un modo per esprimere i propri sentimenti e manifestare la sua rabbia e la voglia di affermare la propria origine nel paese in cui era stata costretta a vivere. Nelle piantagioni degli stati meridionali degli Stati Uniti d’America e in particolare nel delta del Mississippi (“down home”) le canzoni “viaggiavano” insieme alla vendita di schiavi tra una piantagione di cotone e l’altra, tra uno Stato e l’altro. 
 
Serata di giovedì 11 febbraio
MUSICA CONTEMPORANEA
Da Blues a Rock
Relatori: Luca Faotto
 
Il tema della serata – “Dal Blues al Rock” - invita al relax e ci lascia dimenticare almeno per qualche ora le nostre preoccupazioni e il clima che si respira nel nostro paese e nel mondo intero. Mentre i soci alla spicciolata accedono su zoom, Luca – relatore e Presidente facenti funzioni - ci intrattiene sul concetto di “latenza”, cioè quell’intervallo di tempo che impedisce ai musicisti di suonare insieme a distanza.  Guido non si tira mai indietro e anticipa in qualche modo la presentazione comparendo sullo schermo armato di mestolo di legno e di bongo. Insomma, l’ambiente è festoso e dopo le ormai rituali prove di smile e il saluto alle bandiere, iniziamo il nostro viaggio dal “Blues al Rock”.
 
Pensavo, come altri, si trattasse “solo” di una serata sulla musica, ma al termine mi sono dovuto ricredere.
 
Partendo comunque dalla musica, il Blues trae le sue origini tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX secolo dai canti delle comunità di schiavi afroamericani che nel corso del Seicento e Settecento i proprietari terrieri di origine europea trasferirono forzatamente dall’Africa nell’ordine delle centinaia di migliaia. La popolazione africana, povera, sfruttata e priva di diritti, trovò nella musica un modo per esprimere i propri sentimenti e manifestare la sua rabbia e la voglia di affermare la propria origine nel paese in cui era stata costretta a vivere. Nelle piantagioni degli stati meridionali degli Stati Uniti d’America e in particolare nel delta del Mississippi (“down home”) le canzoni “viaggiavano” insieme alla vendita di schiavi tra una piantagione di cotone e l’altra, tra uno Stato e l’altro. 
 
A differenza dello “spiritual” – una melodia lenta e malinconica che parla della sofferenza e del desiderio di ritornare nella propria terra - e diversamente dal “gospel” (God’s spell = parola di Dio) – che ha contenuti religiosi e una struttura tecnica più articolata e raffinata, il blues è un canto profano, che esprime emozioni e sentimenti. È una musica che non conosce l'idealismo dei bianchi perché è una risposta alla povertà, alla disperazione e segregazione sociale della comunità afro-americana. Mentre il “gospel” vede la vita con le lenti della fede in Dio, il Blues vuole interpretare la vita secondo i piaceri della carne.
 
La melodia nel Blues è improvvisata e talvolta anche il testo non ha un filo conduttore ma si reinventa ogni volta, di strofa in strofa. Gli strumenti erano poveri e non poteva essere diversamente per uno schiavo. Se proprio non si aveva nulla, anche un asse per lavare i panni o il coperchio di una pentola, una scatola di sigari o il manico di un piccone, potevano bastare. Inizialmente comparvero gli strumenti degli antenati quali il piffero e il banjo (l'africano banhjour), per poi subentrare l’armonica e la chitarra di origine europea.
Nessuno insegnava agli schiavi come suonarli e così, non sapendo né leggere né scrivere, improvvisavano, suonavano a orecchio e così imparavano.
 
Il termine Blues deriva dall'espressione "to have the blue devils" (letteralmente: avere i diavoli blu) che vuol dire "essere triste, agitato, depresso" e risale ancora più in là dall’espressione inglese usata nel XVII secolo per indicare la crisi di astinenza dall’alcool. Non c'è una precisa data di nascita per questo genere musicale ma il 1865, anno che sancì l’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti d'America, fu l’inizio della sua diffusione in tutto il paese.
 
Padre e mitica figura del Blues fu Robert Leroy Johnson, cantautore e chitarrista, morto il 16 agosto 1938 a soli 27 anni dopo una vita travagliata, e per certi versi oscura. La leggenda narra addirittura di un inquietante patto con il Diavolo che gli concesse di suonare la chitarra come nessun altro in cambio della sua anima.  Che cosa sia veramente successo, non lo sappiamo, ma diversi musicisti dell’epoca riferirono quanto fosse goffo Leroy con la chitarra e come, dopo la morte della moglie, si fosse dileguato per un anno intero per poi riapparire dotato di un’abilità ed una espressività straordinarie, tali da lasciare allibiti. Probabilmente la verità è un’altra per quanto anch’essa non sia priva di aspetti sinistri. Leroy incontrò un bluesman di nome Ike Zimmerman, di cui poco si conosce tranne che per la sua abitudine di suonare nei cimiteri tra le tombe, da qui l’appellativo di emissario del demonio.
 
Anche la sua morte rimane avvolta nel mistero. La notte del 13 agosto 1938 Leroy mentre suonava in un locale, complice l’alcool e lo stato di eccitazione, non disdegnò manifesti atteggiamenti verso la moglie del padrone del locale con la quale aveva una relazione. Fu tutto così imbarazzante che il gestore non riuscendo a trattenere la rabbia offrì a Robert per ben due volte una bottiglia di wisky aperta. Alla prima i due amici che erano con lui fecero in modo che cadesse, ma la seconda venne afferrata con rabbia da Leroy, che bevve incurante di qualsiasi cautela. Poco dopo non riuscì più a suonare e dopo due giorni di deliri, al termine di una lunga agonia, morì. Qualcuno ricorda che morì in ginocchio, sulle sue mani, abbaiando come un cane; Non si conosce dove fu seppellito, ma nei dintorni della cittadina di Greenwood ci sono tre pietre tombali con il nome dell'artista inciso.
Eric Clapton disse di Leroy:
“Per me Robert Johnson è il più importante musicista blues mai vissuto. Non ho mai trovato nulla di più profondamente intenso. La sua musica rimane il pianto più straziante che penso si possa riscontrare nella voce umana.”
La sua prematura scomparsa lo colloca nel “Club 27” o “Club of 27”, un’espressione giornalistica che prese piede nel 1994 dopo la morte di Kurt Cobain, leader dei Nirvana, con l’intento di riunire gli artisti, prevalentemente cantanti rock che morirono all’età di 27 anni. Tutti trovarono la morte prevalentemente per abuso di alcol, droghe, incidenti a atti suicidi. Tra questi si ricordano Janis Joplin, Jimi Hendrix, Jim Morrison, Brian Jones che morirono negli anni 70 in poco più di ventiquattro mesi.
 
Robert Johnson ci lascia ventinove memorabili registrazioni, realizzate tra il 1936 e il 1937, che sono state l’ispirazione di intere generazioni di musicisti tra i quali ci limitiamo a ricordare Bob Dylan, i Rolling  Stones, Eric Clapton, Jimi Hendrix, i Cream, i Led Zeppelin.
 
Tra i brani di Robert Johnson più replicati e rivisti ci sono Crossroad (Cream; Eric Clapton; Lynyrd Skynyrd; Van Halen), Sweet Home Chicago (Magic Sam; Junior Parker; The Blues Brothers; Eric Clapton...), Love in Vain (Rolling Stones), Stop Breakin' Down (Rolling Stones), Travelling Riverside Blues (Led Zeppelin)
Negli anni Sessanta e sino ad oggi il Blues ha lasciato la sua indelebile influenza su altri generi musicali come il jazz, il rhythm and blues, il rock and roll, l’hard rock, l’hip hop e altri ancora.
 
La famiglia di Luca ha sempre alternato gli avvocati agli ingegneri e a lui il destino ha assegnato la professione forense, che ama e alla quale dedica la maggior parte del suo tempo. Suo padre, ingegnere, gli ha fatto però un grande dono e cioè la passione per la musica. Da lui ha appreso i primi rudimenti per poi coltivare giorno dopo giorno questa arte. In tempi di normalità non rinuncia con la sua band a quattro o cinque spettacoli al mese e non smette mai di esercitarsi perché - ci dice - se non suoni per un giorno, te ne accorgi solo tu, per due giorni se ne accorgono i chitarristi, se molli per una settimana, se ne accorge il tuo pubblico.
 
Avere un chitarrista in casa non è fatto di poco conto sia per i vicini che per i familiari. Per fortuna di Luca i primi per le vicissitudini della vita si sono in parte dileguati, altri, data l’età, non sono proprio così sensibili al rumore - pardon, al suono - e l’unico rimasto - non si sa quanto sia vero – ripete soprattutto a se stesso quanto bella sia la musica che proviene da quell’appartamento.
 
La famiglia è poi sempre la famiglia e così nel salotto di casa albergano in evidenza amplificatori e distorsori Blackstar e Marshall, mentre le chitarre sembrano vigilare sul locale quasi a dire: “qui, comandiamo noi”. Luca è un accumulatore seriale di chitarre e testualmente dice: “ho un rapporto con le chitarre come le donne lo hanno con le scarpe, solo che queste si nascondono più facilmente”.
 
Tra amici non ci sono formalità e il nostro relatore ha dato spazio al suo estro di compositore regalandoci una simpatica canzoncina dedicata al nostro Club. Ci ha avvisato e il suono della chitarra è stato per così dire disturbato da un canto non proprio irresistibile, ma va bene così! Gli applausi non sono comunque mancati.
La passione di Luca, il suo entusiasmo ha toccato tutti e Nicola ha voluto ringraziarlo per questo messaggio, per quel fervore che è un vero dono e un autentico esempio per tutti. Questa volta non sono stati i sogni onirici ma la dedizione di suo padre a compiere il capolavoro. Di padre in figlio e così via si trasmettono i valori come ci racconta anche Pietro, liberamente introdotto dai suoi genitori alla musica sinfonica e da camera, per poi avviarsi alle sue scelte musicali. Entrambi ora vivono con i figli quel divario generazionale che si può riassumere nell’affermazione “cos’è quel rumore lì?”
 
Il dibattito ha permesso di soddisfare comprensibili curiosità ma è anche stato un’occasione per conoscerci meglio, scoprendo tra gli estimatori del Blues e del Rock Massimo Burghignoli e Alfonso Amato. È bello sentire la musica come è altrettanto bello parlare di musica e così Pietro, presidente incoming, per il prossimo anno rotariano ha voluto concludere la serata promettendo a tutti noi un’indimenticabile giornata di didattica musicale in Cascina.
 
Il protagonista di questo appuntamento non è stato il Blues, ma Luca che ha saputo regalarci momenti di confidenza e inaspettati segreti. Chi avrebbe mai immaginato di essersi seduto al tavolo con l’Avvocato del Diavolo e chi avrebbe lontanamente pensato ad un rotariano scatenato su un palco, con tanto di chitarra e maglietta nera … non ricordiamo se vi fossero anche delle corna mefistofeliche, l’immagine è rimasta nella disponibilità dei soci per pochissimo tempo, subito secretata.
 
La conviviale di questa sera non è stata come le altre perché ognuno di noi ha spento il computer sapendo che Luca ha voluto parlarci, ha aperto il suo cuore e ha voluto farci conoscere qualcosa di sé, per condividerlo con noi. Avrebbe potuto fare diversamente, ci sono tanti modi, ma lui ha voluto così.
Roberto Ferrari