Prof. Giovanni Tria
Gli amici del Rotary Club Milano San Siro hanno organizzato ancora una volta una serata in Interclub molto interessante e anche dal punto di vista organizzativo sono stati impeccabili, a partire dal saluto alle bandiere e presentazione degli ospiti e del relatore, passando per la gestione del dibattito (domande) sino alla chiusura della serata.
 
In questa nostra prima conviviale, dopo le feste pasquali, ci ritroviamo quindi in molti, insieme ad altri rotariani collegati da diverse parti d’Italia e per quanto concerne il Distretto 2041 sono diversi i Club che hanno aderito all’evento organizzato dal RC Milano San Siro, ovvero, oltre al RC Milano Castello, gli RC Milano Cà Granda, Milano Europa, Milano Leonardo da Vinci e Milano Madonnina, così che in poco tempo, tra rotariani del D2041 e di altri distretti, si arriva oltre 200 partecipanti.
 
D’altro canto l’ospite della serata è il Prof. Giovanni Tria, economista, professore ordinario di Economia politica all’Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", ex ministro dell’Economia e delle Finanze nel governo Conte 1 e da poche settimane consigliere del Ministro dello sviluppo economico, On. Giancarlo Giorgetti, che lo ha voluto al suo fianco sul dossier vaccini anti COVID-19, perché segua con particolare attenzione la produzione industriale nazionale e i rapporti con l’Unione Europea.
Alle 21:02 il Presidente del RC Milano San Siro, Agostino Chisari, dà inizio all’Interclub con il rituale suono della campana e l’onore alle bandiere, cui seguono i saluti dei presidenti che lasciano subito spazio al prestigioso relatore, cui spetta l’improbo compito di illustrarci nel breve tempo “rituale” temi di grande complessità, come, in particolare, la posizione europea nell’economia globale dopo la pandemia secondo uno schema di seguito illustrato e riportato con interrogativi e risposte.
 
Il tema potrebbe essere trattato partendo da molto lontano ma il Prof. Tria non può trattenersi dal condividere subito con noi la domanda che tutti gli italiani, senza distinzione di classe sociale e professione, si pongono: saremo capaci di trasformare gli aiuti dell’Europa in una importante occasione per il nostro Paese?
 
La risposta a questa domanda non può che essere affermativa, perché se guardiamo al mondo è facile capire che non c’è spazio per un fallimento. Le asimmetrie economiche e sociali tra le nazioni divengono sempre più importanti e ammettiamolo pure anche inquietanti. La Cina e l’Asia, le prime colpite dalla pandemia, sono ormai uscite dalla crisi e il dragone prevede una crescita del suo P.I.L nel 2021 dell’8%.
Gli Stati Uniti sono a ruota con un rimbalzo tecnico previsto intorno al 6% del PIL, dopo aver condotto una decisa azione politica ed economica che ha previsto investimenti per circa 1,9 trilioni di dollari, destinati alle famiglie e alle imprese. Un incremento del debito del 10% non ha spaventato il paese a stelle e strisce che ha concentrato i suoi sforzi per favorire la ripresa.
 
La competizione incessante tra i due giganti vede per il momento in testa la Cina che ha superato il PIL degli U.S.A e ora rivolge le sue attenzioni sui consumi interni, indicatori di una migliore condizione di vita dei suoi cittadini piuttosto che sull’esportazione.
 
Oggi ciò che conta non è l’incremento della produzione di beni quanto piuttosto un aumento quantitativo e qualitativo dei servizi. Altri paesi come Russia e India fanno sentire il loro peso. In questo scenario l’Europa fatica a rimanere unita e l’Italia paga il dazio delle sue contraddizioni e fragilità, prima fra tutte il debito pubblico.
Il Fondo Monetario Internazionale mette ormai in stretta relazione la ripresa economica con l’andamento della pandemia e la velocità di somministrazione del vaccino tralasciando modelli di previsione economica che molto spesso si sono dimostrati inaffidabili. Ora più che mai il futuro del paese deve coincidere con la futura realtà dell’Unione, non si può rimanere indietro.
 
Quale direzione vogliamo prendere?
Gli atavici problemi del paese si ripropongono. L’Italia dipende dall’Europa e dipende anche dal mondo.  Per uscire dalla crisi generata dalla pandemia occorrono previsioni di spesa che si basino su una politica monetaria espansiva con una riduzione dei tassi di interesse che permetta un aumento dell’offerta di credito alle imprese e ai privati, stimolando così la produzione e i consumi e intervenendo per ridurre la pressione fiscale sui cittadini. Solo in questo modo si favorirà lo sviluppo economico che negli ultimi decenni aveva invece trovato terreno fertile in fattori sociali quali lo spostamento dalle campagne alle città in Cina, nell’afflusso della forza lavoro dell’Est nell’Europa occidentale, nonché nell’aumento demografico.
 
Ma se l’unica strada percorribile per la ripresa è l’immissione di liquidità, come si potrà rientrare da un debito che già oggi si aggira introno al 160 per cento del PIL?
Il patto di stabilità sottoscritto nel 1997 dai paesi membri dell'Unione europea è stato per il momento messo da parte, ma terminata l’emergenza, il controllo delle politiche di bilancio pubbliche di ogni singolo paese ritornerà ad essere uno dei requisiti di adesione all'Unione economica e monetaria. L’emergenza sanitaria ha convinto i paesi del nord più virtuosi e soprattutto la Germania ad allentare i lacci della borsa ed oggi noi siamo liberi di indebitarci autorizzando uno scostamento di bilancio che si aggira intorno ai 150 miliardi, ma questo non potrà durare a lungo. Con il Recovery Fund l’Unione Europea ha messo a disposizione un fondo di denaro erogando prestiti ai paesi richiedenti, ora tocca a noi presentare alla Commissione Europea il nostro Recovery Plan, cioè la nostra idea dell’Italia del futuro, declinata in 6 “mission”: 1) digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; 2) rivoluzione verde e transizione ecologica; 3) infrastrutture per una mobilità sostenibile; 4) istruzione e ricerca; 5) inclusione e coesione; 6) salute.
Un piano dettagliato che porti ad una trasformazione dell’economia verso un paradigma di crescita inclusiva e sostenibile. Un progetto dove il prestito viene utilizzato bene generando profitto e non assistenzialismo.
 
L’Italia da un punto di vista finanziario non è in pericolo e nel breve periodo possiamo indebitarci quasi a tasso zero.  Ma quando ci sarà la ripresa, cosa accadrà? Quali saranno le nuove regole?
Sappiamo che non torneremo alla normativa precedente - era sbagliata - ma sappiamo anche che avremo comunque nuovi vincoli a cui dovremo sottostare per rimanere nella compagine europea con un ruolo di primo piano. Oggi il problema cruciale del nostro paese è il “capitale privato interno” che non riconosce nell’Italia un luogo attraente per gli investimenti e il “capitale privato estero” che reputa lo Stivale un guazzabuglio normativo dentro il quale è difficile districarsi. Andando a sintesi siamo incapaci nell’invogliare l’investimento estero e abbiamo forti difficoltà nel trattenere quello italiano che si vede costretto a volgere lo sguardo oltralpe. L’Instabilità legislativa generata dal succedersi dei governi, la variegata interpretazione della legge dell’apparato giudiziario e la generale “lentezza” che contraddistingue il nostro paese sono ostacoli alla ripresa economica che ancora oggi appaiono insuperabili.
 
Quali errori sono stati fatti?
La pandemia ha dimostrato la fragilità del sistema europeo che nel momento più critico ha reagito lentamente e non ha saputo trovare quel senso di unità che ciascun cittadino del continente si sarebbe aspettato. Non abbiamo capito che si dovevano investire ingenti somme nella ricerca e così oggi abbiamo i vaccini cinesi, quello “inglese”, Oxford-AstraZeneca, quelli statunitensi Pfizer-BioNTech e Moderna e ormai imminente anche il Johnson&Johnson, quello “russo” Sputnik, ma non vi è traccia di un vaccino europeo. Possiamo dire letteralmente di andare ad elemosinare per il mondo con il “cappello in mano” e oltretutto in qualche caso in ordine sparso, con spiacevoli considerazioni su cosa significhi la coesione dell’Europa.
Le cifre dicono più delle parole. Mentre l’amministrazione Trump investiva dai 10 ai 18 miliardi di dollari nella ricerca, in Italia non si faceva nulla e un mese di ritardo nell’uscita dalla crisi ci costa 15 miliardi di euro. Se le nazioni più potenti non stanno dando prova di solidarietà, neppure per assicurare il tanto agognato vaccino anche ai paesi più poveri, che vedranno così garantita la loro leadership nella classifica degli indigenti, l’Europa per la salute dei suoi cittadini sta faticando molto anche solo per avere una strategia comune nell’ approvvigionamento dei vaccini.
 
C’è la volontà di un’Europa unita?
Il problema dell’Europa è trovare finalmente delle linee guida economiche condivise dove non ci sia spazio per la competizione fiscale. A tal proposito il prof. Tria ci ha ricordato il disegno, proprio di questi giorni, dell’amministrazione Biden.  Il suo segretario al Tesoro Janet Yellen ha proposto un'aliquota fiscale minima da applicare alle multinazionali, indipendentemente da dove si trovano le loro sedi. Una tassa globale impedirebbe una specie di corsa al ribasso pur garantendo a tutti i governi entrate sufficienti per investire nei beni pubblici essenziali. L’idea di una tassa fiscale minima internazionale è sicuramente interessante anche per l’Europa che ancora oggi vive una sorta di migrazione delle aziende verso i paesi dell’Unione con un regime fiscale più favorevole quali l’Olanda, l’Irlanda e i paesi dell’Est.
Ma sino ad oggi abbiamo fatto bene?
I 5 miliardi destinati al cashback non mi sono sembrati una grande idea - dice il prof. Tria – perché non sono stati una sorta di investimento, ma un premio per chi opera nella legalità, come tutti dovrebbero normalmente fare. Va bene come incentivo all’utilizzo della carta di credito ma non è un esempio virtuoso di come spendere i propri soldi e prima o poi il debito dovrà essere pagato. Nel lungo periodo si dovrà rientrare e questo sarà possibile solo se vi sarà quella sostenibilità che dipende dal tasso di crescita e dalla fiducia che i mercati finanziari ripongono in noi. In realtà l’unica fiducia esistente è quella che proviene dalla BCE mentre assai poca è la fiducia tra paesi.  Quanto poi sia efficace una tassa patrimoniale, credo proprio che questa avrebbe solo l’effetto di spaventare la classe media e i piccoli risparmiatori.
Che cosa si deve fare allora?
I nostri primi obiettivi sono la coesione sociale e la limitazione dei fallimenti delle imprese. Dobbiamo fare in modo che non si verifichino situazioni di disoccupazione a lungo periodo che allontanano il lavoratore dall’ azienda e generano una perdita di specializzazione. E’ indispensabile eliminare le spese non necessarie o che vanno nella direzione sbagliata perché cancellare il debito non è possibile e se anche lo si volesse ipotizzare - idea ripeto non realizzabile - si potrebbe realizzare un’azione simile solo verso le banche centrali ma sicuramente non verso i privati. Le regole europee non contemplano la cancellazione del debito, ma se anche si derogasse alla norma, come si presenterebbe un paese ai mercati finanziari dopo un default? Allontaniamo da noi l’idea che si può fare debito liberamente. Non possiamo dimenticare che la cancellazione del debito significherebbe una perdita nel bilancio della BCE e una simile concessione trova ovviamente l’ostilità dei paesi con un rapporto debito/PIL virtuoso e forse neanche la Germania sarebbe disposta a contraccambiare il favore del dopoguerra.
Esiste una soluzione al debito?
Una strada percorribile potrebbe essere l’emissione di titoli perpetui - c.d irridemibili – che non permettono il loro riscatto ma solo l’incasso della cedola. Potrebbero essere utilizzati per finanziare gli investimenti pubblici ma per avere una loro attrattiva verso il risparmiatore dovrebbero essere indicizzati al tasso di crescita del PIL nominale del paese. Si otterrebbe così l’effetto dell’aumento automatico del rendimento del titolo al crescere dell’economia.
Ma questo non basterebbe se non fosse seguito da un’azione di trasparenza e stabilità fiscale.
Oggi il cittadino non ha una chiara percezione di quanto paga in proporzione al proprio reddito e per questo sarebbe auspicabile una rivisitazione dell’IRPEF e dell’IVA, ma le resistenze e i contrapposti interessi al momento rendono tutto ciò un’operazione quasi impossibile. Resta il fatto che le difficoltà strutturali in cui viviamo sono così importanti che anche la criminalità organizzata è scesa nella classifica delle criticità che impediscono la ripresa del paese.
 
Per trovarci pronti alla ripresa, che idea di paese dobbiamo dare?
Occorre investire in infrastrutture, in tecnologia e innovazione soprattutto con una particolare attenzione all’ ecologia e alla digitalizzazione. Questo richiede anche un forte impegno nella riconversione della forza lavoro che sarà chiamata a nuove specializzazioni abbandonando le mansioni tradizionali. I grandi investimenti dovranno per così dire rendere più attraente e piacevole il nostro paese, perché le aziende andranno dove ci sono scuole, università, centri sportivi, ospedali e quant’altro sia utile se non addirittura indispensabile per una qualità della vita ottimale. Occorre rendere il nostro paese un luogo dove tutti ambiscono a vivere. L’economia sta andando in questa direzione. La globalizzazione non è più dei beni ma dei servizi.
 
L’appuntamento con il Prof. Tria ci ha permesso di avere una visione d’insieme sui problemi del nostro paese e sulla strada che dobbiamo percorrere se vogliamo che le nostre future generazioni possano vivere in un mondo migliore e non correre il rischio di bere l’amaro calice della frustrazione o della rassegnazione.
Il Relatore, nel suo discorso di circa due ore, peraltro passate in un lampo, non ha mai esplicitamente richiamato il concetto di profitto, per quanto scontato in economia, ma ha comunque fatto chiaramente intendere la necessità di una “lungimiranza” e di un senso di “responsabilità, indispensabili per governare un paese, mentre ha solo accennato alla “solidarietà”, che è però sempre stata presente dietro le quinte della sua narrazione.
 
Siamo tutti consapevoli che la sconfitta della pandemia sotto il profilo sanitario non sarà l’unica battaglia da vincere. Quando ci abbandonerà, non ci avrà lasciato uguali a prima, perché saremo, a prescindere dalla nostra volontà, migliori o peggiori di prima. Questa è la seconda sfida da vincere, per niente facile, se si pensa alle parole pronunciate da uno sconcertato Mario Draghi, quando chiamato a commentare la somministrazione dei vaccini in Italia, non ha potuto trattenersi dal dire: con che coscienza la gente salta la lista!
 
Sono passati quasi quattordici mesi da quel lontano 23 febbraio 2020, quando il nostro Paese si rese conto che la globalizzazione non si limitava alle merci, ma entrava con violenza nel nostro quotidiano, stravolgendo le nostre vite.
 
Il virus Covid-19 non era più una questione che riguardava la Cina, tanto potente quanto lontana, perché tutto ad un tratto era un problema nostro, dell’Europa e addirittura degli Stati Uniti, al di là dell’oceano. Ora, qualche barlume di speranza si intravede ma l’uscita dal tunnel è ancora lontana.
 
Il Rotary cosa può fare ... direi molto ... in primis formazione al suo interno, come è stato per questa serata, perché la coscienza e la cultura del sapere sono le leve su cui si fonda qualsiasi agire dell’uomo, anche quello più abile e capace.
 
Roberto Ferrari