

Giuseppe Del Monte Gabriella Scaduto
La scienza è presenza quasi ingombrante nel nostro quotidiano, il progresso avanza inarrestabile rendendoci tutto più semplice e performante mentre l ’uomo, al contrario, dimostra di essere quello di sempre, incapace di controllare la sua aggressività e la sua voglia di prevaricazione al punto che all’inizio di questo XXI secolo la violenza sembra ancora oggi la strada preferita da molti per risolvere conflitti tra gli Stati, cosi come tensioni e incomprensioni tra le persone.
Fortunatamente tra i tanti rassegnati e la moltitudine degli indifferenti, c’è chi non si arrende, c’è chi sente dentro di sé una missione e nutre ancora la speranza nell’uomo e nel rispetto della sua dignità e dei suoi diritti.
Questa sera siamo felici di accogliere Giuseppe del Monte, fondatore dell’associazione OLGA - Educare contro ogni forma di violenza- e la dott.ssa Gabriella Scaduto responsabile delle relazioni istituzionali, impegnata nel portare il lavoro di Olga a contatto dei rappresentanti delle istituzioni e della società civile.
L’Associazione, che porta il nome della madre, Olga Granà, uccisa il 26 luglio 1997 dall’ex marito, per strada a colpi d’ascia, è stata fondata da Giuseppe nell’aprile dell’anno scorso con lo scopo di dedicarsi alla prevenzione e al contrasto di ogni forma di violenza con particolare attenzione alla tutela dei diritti delle persone che hanno subito maltrattamenti, abusi o aggressioni psicologiche.
Dopo vent’anni - ci racconta Giuseppe – ho avuto la forza, con l’aiuto di uno psicoterapeuta, di gestire il mio dolore.
Mi hanno salvato la vita ed ora sono qui a denunciare la sofferenza di chi è vittima di femminicidio, a promuovere il sostegno a chi ha vissuto l’assassinio della mamma e a diffondere l’educazione dei giovani ai diritti e al rispetto.
Mio padre - continua Giuseppe - non è solo un assassino ma è anche un ladro, perché ha rubato “i miei sogni”.
Volevo fare il chirurgo, ora lavoro accanto a lui, perché sono strumentista di sala operatoria, e va bene così, ma nessuno mi restituirà gli anni di incubi, di processi, di psicoterapia, senza aiuti e sostegno economico da parte dello Stato.
Ancora oggi in Italia non c’è un’anagrafe ufficiale degli orfani di femminicidio. Si pensa che siano tra i 2.000 e i 2.500 gli orfani che lo Stato, latitante, si dimentica di proteggere mentre dovrebbe farsene carico con l’assistenza di un avvocato, di uno psicologo e anche di un educatore scolastico.
Il contributo mensile di 300 euro suona quasi come una beffa che peraltro a malapena ti serve per pagare uno psicologo, e non per molto.
Con la morte della mamma il bambino rimane orfano di entrambi i genitori. Deve elaborare il lutto e affrontare le conseguenze della violenza su di sé.
Gabriella Scaduto, Psicologa – Psicoterapeuta Esperta in Diritti Umani dell'infanzia e dell'adolescenza ci accompagna in quel mondo che la società nasconde, perché scomodo da raccontare e difficile da combattere perché radicato in certe culture.
C’è la vittima che, non di rado, ritiene che la violenza subita sia un fatto normale sino al punto di pensare “più mi picchia, più mi vuole bene” e c’è la vittima che rassegnata convive con l’idea “io so che lui mi ammazzerà”.
Dall’altra parte c’è l’indifferenza o il timore di intromettersi che fanno altrettanto male, creando isolamento e solitudine.
La violenza degli uomini sulle donne è un delitto legato al genere che coinvolge i minori e vede il suo culmine nel femminicidio ma, molto spesso, si palesa anche in relazioni maltrattanti che sono la costante devastante di tutti i giorni per molte persone nel mondo.
Milano, città europea all’avanguardia, è anche una complessa realtà che ospita “comunità chiuse” dove la violenza sulla donna è un’ovvia azione che ha profonde radici culturali.
In queste piccole società dalle leggi sconosciute al cittadino milanese, non si ha la più pallida idea di cosa voglia dire la violazione dei diritti umani sia da chi commette il crimine sia, almeno in alcuni casi, da chi lo subisce.
Occorre allora, prima di tutto, combattere contro una sorta di acquiescenza dove la tolleranza verso gli usi e i costumi prevale sulla scelta di denunciare e perseguire quelle condotte che altro non solo che la violazione della dignità di un essere umano.
L’ infibulazione non è poi una realtà così lontana da noi come invece immaginiamo.
Ritornando a noi, le cattive abitudini si acquisiscono in fretta e le isolate derive sono già pericolosi campanelli di allarme. Analizziamo sempre le nostre azioni e se tra queste vi è traccia di violenza interveniamo subito per porvi rimedio.
Non permettiamo che questa a poco a poco prevalga e auguriamoci sempre di poter dire: “Spero non accada mai a me”.
Ringraziamo Giuseppe e Gabriella per averci dedicato un po’ del loro tempo.
Non dimenticheremo il loro messaggio: “le storie che incontriamo cambiano la nostra storia; se ognuno di noi agisce, tutti noi riusciamo ad ottenere un cambiamento”.
Roberto Ferrari